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Italiano: Carnàala - Epopea di un'infanzia vissuta nell'inferno della zolfara - Autore: Dino Vaccaro

Recensione:Recensione di Eugenio Giannone

“Carnàla e no surfara t’he chiamari, carnala, no di morti ma di vivi”

(A.Di Giovanni, Sonetti della zolfara,in Voci del feudo, Palermo 1938)

“Carnala”, Dino Vaccaro sintetizza molto bene una pagina di storia economico-sociale tra le più emblematiche della Sicilia.

Il lavoro è una benedizione ma per generazioni di Ciancianesi (e non solo) è stato una dannazione, la negazione della loro dignità e della loro essenza di uomini con un abbrutimento e uno sfruttamento che ancor oggi gridano vendetta. Non stupisce, quindi, che proprio il poeta Alessio Di Giovanni, figlio di proprietari di miniera di zolfo, la battezzasse carnàla (carnaio).

   Il quadro è - dicevamo - una pagina di storia e si presta ad una facile lettura.

Esso vede in primo piano un caruso con sulle spalle uno stirraturi pieno di ganga, poggiato sulla chiumazzata per alleviare un carico impossibile per fanciulli di 7/15 anni (e forse più, perché si poteva rimanere carusi per tutta la vita non saldando il famigerato soccorso morto).Altre immagini sintetizzano le fasi del suo duro e penoso lavoro. Il caruso era l’anello più debole del lavoro in miniera ma non per questo meno importante. Esistendo una vasta letteratura in materia, riteniamo superfluo indugiarvi. A sinistra un banco di scuola con appoggiato uncuculiolu (cerchio) e un rampino a denunciare l’infanzia violata di un bambino cui sono state negate dal bisogno l’istruzione primaria e la spensieratezza con la dolcezza dei giochi. Al centro un altro caruso con un’acetilene in mano: c’è un errore, un errore di bontà: Dino gli ha messo le scarpe! Il fanciullo sembra dirigersi verso il forno in cui avveniva la fusione del minerale per ricavarne “balate” (accatastate al centro) o verso il boccaporto (vucca), della zolfara, che abbiamo definito inferno dei vivi. A sinistra, accanto alla vucca, dei ginisara. Infine, sulla destra, sopra il piccone – strumento di lavoro indispensabile per il pirriaturi, il biondo di una ginestra, l’unica pianta che cresceva in quelle lande brulle e che ingentiliva quel luogo triste, dove anche le donne prestarono la loro manovalanza e altro (costrette!)

  La pittura come memoria e come denuncia d’una particolare temperie. Certo, oggi i carusi non esistono più ma quanti sono i fanciulli, nel mondo, che subiscono violenza e sfruttamento per un tozzo di pane amaro?
  E’ questa la pittura che ci piace perché fa cultura, memoria e ci inchioda alle nostre radici, alle nostre responsabilità costringendoci a meditare sulla sorte di chi ci ha preceduto e dei nostri simili.

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Alessio Di Giovanni (1872-1946) è considerato il più grande poeta dialettale della I^ metà del ‘900.

Stirraturi: recipiente dalla capacitàdi 25/30 kg di materiale estrattivo che il caruso collocava sulle spalle, trasportandolo dal punto di estrazione a quello, fuori, di raccolta (bastarella).

Chiumazzata: sorta di cuscino o straccio arrotolato che il caruso collocava sulle spalle e su cui poggiava lo stirraturi.

Soccorso morto: specie d’anticipo in generi di prima necessità alla famiglia del caruso in cambio di quanto il piccolo infelice avrebbe potuto guadagnare lavorando

Cuculiolu: cerchio di ferro; da cuculiari: rotolare, girare.

Balate: pni di zolfo a forma di tronco di piamide.

Ginisara: ammassi della ganga sterile, dopo che era stata bruciata per separarla dal minerale zofifero.

Pirriaturi: lo zolfataro.

Sulla zolfara cfr. il nostro Eugenio Giannone, Zolfara, inferno dei vivi, ARCI Valplatani - Regione Siciliana, Palermo 1993.
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Author Divaccaro

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